

Intervista a cura di Alessia Canfarini, VP Aiceo e Head of Human Capital CoE @ Business Integration Partners
BREAK, TRANSFORM, CREATE sono le tre parole chiave che caratterizzano il libro “Rebel Talent: why it pays to break the rules at work and in life” (MacMillan 2018) di Francesca Gino.
Francesca, (40enne trentina) docente di Economia Comportamentale alla Harvard Business School è la più giovane ad aver mai coperto questo ruolo.
Le abbiamo rivolto delle domande sui principi di leadership ribelle che il suo libro tratta:
Partiamo dal termine. “Ribelle” è letteralmente “colui che torna alla guerra”. Da figure da controllare a talenti da valorizzare, perché le organizzazioni stanno progressivamente rivalutando e valorizzando i “ribelli”?
Quanta consapevolezza c’è del loro potenziale?
Il termine ‘ribelle’ si riferisce al fatto che noi tutti dobbiamo combattere contro delle tendenze ed attitudini verso il lavoro e la vita che ci vengono naturali, visto che siamo esseri umani.
Nel libro parlo di cinque talenti che i ribelli hanno, per esempio: il talento per la novità.
Solitamente, a noi piacciono le cose che conosciamo e che ci sentiamo sicuri di saper fare.
I ribelli combattono questa tendenza scegliendo attività nuove e che possono creare del “discomfort.”
Viviamo in tempi turbolenti, in tempi in cui la concorrenza è agguerrita, la buona reputazione si perde facilmente sui social media e il mondo è più diviso che mai.
In questo contesto pieno di incertezze e cambiamenti, coltivare talenti ribelli è ciò che consente alle aziende di evolversi e prosperare.
Inoltre, la ribellione, oltre il luogo di lavoro, porta ad una vita più appagante.
Parte della ragione per cui ho scritto questo libro è che io vedo molta paura nei leaders di oggi ad incoraggiare ribellione (nel modo in cui ne parlo io) nelle loro aziende.
Il libro è un modo per convincerli a cambiare, a pensare in modo diverso ai vantaggi che i talenti ribelli portano in azienda.
La ribellione per te: evoluzione o attitudine?
Entrambe, non necessariamente una persona deve essere nata ribelle per avere successo.
Ci sono cinque talenti ribelli di cui parlo nel libro.
Possiamo tutti impararli e svilupparli col tempo.
Vivere come un ribelle ci può aiutare a reinventarci, ad essere maestri dell’innovazione e a portare cambiamenti positivi nel mondo.
“L’analfabeta del ventunesimo secolo non sarà quello che non sa leggere né scrivere ma quello che non riuscirà a disimparare, imparare e reimparare”. La frase di Toffler è molto vicina al tuo modello Break, Transform, Create. Qual è oggi per te la cosa più difficile da rompere e quella più difficile da creare?
Rompi, trasforma, crea. C’è molto potere in queste tre parole.
L’ho imparato per la prima volta dallo chef de l’Osteria Francescana, Massimo Bottura.
Quando pensiamo ai ribelli, pensiamo ai guai, Bottura ha infranto la tradizione trasformando ricette italiane tramandate da secoli, mettendo in discussione le procedure di cottura e creando versioni innovative e spesso sorprendenti dei piatti tradizionali.
I ribelli rompono le cattive abitudini, e questo è difficile da fare.
Ci appoggiamo su ciò che è comodo e familiare, cadendo facilmente nella routine.
Preferiamo la certezza al dubbio.
Accettiamo i ruoli sociali che ci vengono trasmessi, quasi senza domande, e seguiamo il punto di vista della maggioranza piuttosto che proporre il nostro.
I ribelli fanno domande con curiosità e guardano lo stesso problema o situazione da più punti di vista.
I ribelli non hanno paura di esprimere opinioni sul lavoro o di rendersi vulnerabili di fronte agli altri.
Mantenere questa curiosità, per me, è una delle sfide più grandi che tutti abbiamo (incluse le aziende di oggi).
La maggior parte delle scoperte rivoluzionarie e delle invenzioni straordinarie nel corso della storia hanno qualcosa in comune: sono il risultato di curiosità.
L’impulso a cercare nuove informazioni ed esperienze ed esplorare nuove possibilità è un attributo umano fondamentale, ed è uno dei talenti ribelli.
Anche se i leader dicono di fare tesoro di menti curiose, in realtà soffocano la curiosità, temendo che aumenti il rischio e l’inefficienza.
In un sondaggio che ho condotto con oltre 3.000 dipendenti di una vasta gamma di aziende ed industrie, solo il 24% ha indicato di sentirsi curioso regolarmente nel proprio lavoro e circa il 70% ha dichiarato di affrontare ostacoli nel porre più domande sul posto di lavoro.
La curiosità, quindi, è per me difficile da mantenere, nonostante il fatto che siamo tutti nati curiosi.
I ribelli prendono le abitudini, che trattengono il resto di noi, e le rompono. Le trasformano. E così creano il loro successo.
Parli spesso di “incidenti felici” che possono stimolare in ciascuno novità, curiosità, prospettiva, diversità, autenticità. Raccontaci il tuo!
Stavo curiosando negli scaffali di una libreria di Cambridge (negli Stati Uniti, dove vivo) quando ho visto un libro più grande del solito, con una copertina color merlot. Il titolo? “Non fidarti mai di un cuoco italiano magro.”
Essendo italiana, mi ha incuriosita. Mentre sfogliavo le pagine, mi è diventato chiaro che questo non era il tipico consueto ricettario.
C’erano immagini di bei piatti – chi poteva resistere al piatto chiamato “la parte croccante della lasagna?”- ma non assomigliavano a nessuno dei piatti tradizionali con cui sono cresciuta.
Il libro racconta la storia dello chef Massimo Bottura, un maestro di ricette tradizionali il cui talento ha portato alla trasformazione di questi piatti in qualcosa di nuovo.
Ciò che può essere sembrato una mossa rischiosa, ribellandosi contro le amate ricette condivise da generazioni, lo ha reso una star: un talento ribelle.
Un incontro casuale con il libro che mi ha portato a conoscerlo e a lavorare nel suo ristorante, a scoprire altre storie di talenti ribelli come lui e a scrivere il mio libro.
Scrivi che “i ribelli hanno tempo per pensare e meravigliarsi, anche quando sono completamente impegnati nel loro lavoro”. Oggi ci manca di più il tempo o la capacità di meravigliarci?
Ci mancano entrambe le cose. Da ormai un decennio, la ricerca ci dice che la maggior parte di noi si sente sotto pressione.
Gli studi su questo tema parlano di “carestia del tempo,” un termine che è emerso per la prima volta nella letteratura scientifica intorno al 1999, e che si riferisce al sentimento universale di avere troppo da fare ma non abbastanza tempo per affrontare tali richieste.
Ma c’è anche tanta ricerca che dimostra che la curiosità viene spesso schiacciata dalle pressioni di lavoro.
In un sondaggio recente che ho condotto, ho chiesto a circa 250 persone, che avevano iniziato di recente a lavorare per varie aziende, una serie di domande volte a misurare la curiosità; sei mesi più tardi ho fatto un follow-up con le stesse persone.
Sebbene i livelli iniziali di curiosità fossero diversi, dopo sei mesi la curiosità di tutti era diminuita, con un calo medio superiore al 20%.
Poiché le persone erano sotto pressione per completare rapidamente il loro lavoro, avevano poco tempo per porre domande su processi, tradizioni, routines o obiettivi generali.
Alleniamoci alla ribellione. E se fosse un esercizio quotidiano, quale sarebbe?
Abbiamo tutti bisogno di più ribellione nella nostra vita.
Quando ci ribelliamo, troviamo più divertimento nel lavoro, nel gioco e nelle interazioni con gli altri.
Un problema è che molti di noi non sanno come infrangere le regole in modo produttivo.
Ho iniziato il mio studio sulla ribellione costruttiva concentrandomi sull’infrangere delle regole sul posto di lavoro.
Ma infrangere le regole, come ho scoperto, arricchisce ogni aspetto della nostra vita.
Per me, vivere come un ribelle è una questione di provare piccole cose – scarpe da ginnastica rosse in contesti formali, per esempio – così come un impegno più ampio nell’esplorare modi di essere nel mondo che a prima vista possono sembrare sbagliati, possibilmente persino distruttivi.
Dove cominciare? Cambiamo il nostro modo di pensare sui ribelli dando più spazio alla curiosità, alla voglia di imparare.
È naturale concentrarsi sui risultati, soprattutto di fronte a sfide difficili. Tuttavia, concentrarsi sull’apprendimento è generalmente più vantaggioso per noi e le nostre organizzazioni, come mostrano vari studi.
Ad esempio, in uno studio condotto da Don VandeWalle della Southern Methodist University, i professionisti delle vendite che erano naturalmente focalizzati su obiettivi di rendimento, come raggiungere i loro obiettivi ed essere visti dai colleghi come bravi nel loro lavoro, hanno fatto peggio durante la promozione di un prodotto (un pezzo di attrezzature mediche al prezzo di circa $ 5.400) di rappresentanti che erano naturalmente concentrati su obiettivi di apprendimento, come ad esempio esplorare come essere un venditore migliore.
Questo gli è costato, perché l’azienda ha assegnato un bonus di $ 300 per ogni unità venduta.
Diversi studi di ricerca dimostrano che inquadrare il lavoro attorno agli obiettivi di apprendimento (sviluppare competenze, acquisire competenze, padroneggiare nuove situazioni e così via) piuttosto che obiettivi di performance (raggiungere obiettivi, dimostrare la nostra competenza, fare buona impressione sugli altri) aumenta la motivazione che conseguentemente aumenta la performance.
Quando siamo motivati da obiettivi di apprendimento, acquisiamo competenze più diverse, lavoriamo meglio, otteniamo voti più alti all’università, miglioriamo le attività di problem-solving e riceviamo valutazioni più elevate in contesti aziendali.
Sfortunatamente, le organizzazioni spesso danno la priorità agli obiettivi di rendimento. E così facciamo anche tutti noi.
Ma non i ribelli: grazie alla loro curiosità loro affrontano il mondo con la voglia insaziabile di imparare.